“La sola libertà che abbiamo il diritto di chiedere è la libertà di cercare e amare la bellezza. È una libertà sufficiente. È la nostra patria”
LE ORIGINI
Frank Lloyd Wright nasce nel 1867, in un villaggio rurale del Winsconsin, negli Stati Uniti d’America.
Figlio di William Cary Wright, musicista, e Anna Lloyd Jones, Frank Lloyd Wright ha discendenze europee. Il nonno materno, cappellaio originario del Galles, si trasferì infatti in America in epoca vittoriana: è l’America dei pionieri, l’America dei sogni, quella terra utopica del nuovo mondo pieno di promesse e opportunità, quella terra fertile ma dura da addomesticare, quella terra, la Valle, “l’adorata Valle” che farà da intelaiatura alla formazione spirituale e personale del futuro architetto.
L’educazione familiare e le esperienze infantili daranno in eredità a Wright i valori di cui la sua stessa architettura è permeata: verità, fierezza, libertà, amore per la terra, per il lavoro, per il sacrificio.
In particolare la parola “Verità” nel corso della sua esistenza assumerà valori e significati sempre diversi, evolvendosi man mano che cresce la sua coscienza critica. Il tramandato motto di famiglia “La Verità contro il Mondo” diventerà “La Verità è Vita” fino al definitivo “La Vita è Verità”. Di personalità forte, a tratti scostante, sin dall’adolescenza è votato alla realizzazione personale, senza mai abbandonare la ricerca e l’affermazione della Verità, nell’architettura così come nei rapporti sociali.
Da ragazzo apprende, lavorando nella campagna con lo zio James, il significato ed il valore de “l’accumulare stanchezza su stanchezza”, una stanchezza che non toglie energie all’uomo ma che anzi lo fortifica, lo avvicina alla natura ed alle sue leggi inviolabili, ed il valore del duro lavoro, il solo mezzo attraverso cui è possibile superare limiti e confini già segnati.
LA FORMAZIONE
Lascia inconclusi gli studi per trasferirsi a Chicago, la terribile e mostruosa grande città, in cui il giovane Wright si sente “costretto ad osservare le insegne pubblicitarie che ti aggredivano ovunque lo sguardo”.
Chicago, la Città Eterna dell’Ovest senza architettura, con fabbricati identici fra loro, faticosamente diversificati senza diversità, divorata da insensate griglie di strade rumorose, sporcizia, la squallida, fumosa città oscurata dal fumo, come egli stesso la definì.
A Chicago ha però opportunità, non senza fatica, di iniziare a lavorare come disegnatore, dapprima presso lo studio di Silsbee, tra gli architetti più attivi in città in quegli anni (1887). Nonostante definisse gli edifici progettati da Silsbee un insieme di elementi dall’effetto pittoresco, è affascinato dalla sua capacità di produrre schizzi di altissimo livello. Inizia così ad esercitarsi con sempre più dedizione nel disegno, consultando i pilastri della manualistica architettonica dell’epoca. Disegni, schizzi, riproduzioni gli consentiranno di costruirsi quel corpus di lavori che servirà come lasciapassare per lo studio di Adler e Sullivan. I due architetti, impegnati nel progetto dell’Auditorium Building, sono infatti in quel periodo in cerca di bravi disegnatori. Sin da subito tra Sullivan, “il Maestro”, e Wright si instaura un rapporto che va ben al di là del freddo rapporto tra datore di lavoro e semplice disegnatore. Sullivan intuisce infatti il potenziale di Wright, il quale all’interno dello studio ha modo, oltre che di maturare e crescere come architetto, di conoscere una nutrita clientela borghese, per la quale inizia, al di fuori dell’orario di ufficio, a svolgere un’attività privata parallela. Scoperto da Sullivan verrà poi licenziato e costretto ad abbandonare lo studio mettendo la parola fine alla collaborazione con l’adorato Maestro.
LA CARRIERA DA ARCHITETTO
Lasciatosi alle spalle l’esperienza presso Sullivan, la cui carriera da questo punto in poi conoscerà un graduale declino, Wright inizia la sua attività in proprio ampliando lo studio presso la sua casa ad Oak Park. È il 1904 e la carriera da architetto di Wright inizia finalmente a decollare. Si occupa di vari lavori, tra cui spiccano in particolare l’edificio per l’amministrazione della Larkin Co. e il Tempio unitario di Oak Park.
Nel 1905 compie il primo viaggio in Giappone, le cui abitazioni tipiche impressioneranno l’architetto americano. In particolare egli è colpito dalla disposizione degli spazi, fluidamente concatenati tra loro, e dalla capacità di miniaturizzazione degli oggetti, che regalano all’uomo maggiore capacità di controllare gli spazi.
Tornato in America si apre per Wright la stagione delle “Prairie House”, una serie di edifici residenziali in cui sono condensati tutti gli elementi del credo architettonico del Wright dell’epoca: all’esterno uso di materiali naturali, prevalenza del carattere orizzontale, continua ricerca di integrazione tra abitazione ed ambiente circostante, assenza di ornamentazione e richiami classicheggianti, all’interno ambienti disposti liberamente, con spazi concatenati (così come aveva appreso dalle case tipiche giapponesi), aperti verso l’esterno attraverso terrazze oppure proiettati verso il camino, cuore simbolico della casa attorno cui la famiglia può riunirsi.
La carriera di Wright è all’apice del successo quando, quarantenne, lascia moglie e figli (sei), per spostarsi con la sua amante, Martha Borthwick, in Europa. Qui viaggia attraverso Berlino, dove è affascinato dalle opere di Olbrich, e poi Firenze, Parigi, Vienna e Fiesole. Il viaggio nel vecchio continente causerà però non pochi problemi a Wright, il quale, di ritorno negli Stati Uniti nel 1911, fatica a trovare commesse di lavoro a causa dello scandalo che la sua fuga aveva provocato.
Si trasferisce a vivere a Taliesin, ove costruisce una piccola casa-studio data alle fiamme da uno squilibrato pochi anni dopo la sua costruzione. Nel frattempo tuttavia le prospettive lavorative migliorano: è il 1915 e dal Giappone arriva l’incarico per Wright di progettare l’Imperial Hotel di Tokyo, lavoro che lo porterà a trascorrere la maggior parte di quegli anni in Giappone, lasciando lo studio di Chicago nelle mani del giovane Shindler. L’Imperial Hotel è forse tra gli edifici più degni di nota dell’architetto americano. Derivazioni sullivaniane, cultura giapponese, mesoamericana e europea si fondono in un insieme equilibrato di spazi e livelli sovrapposti, caratterizzati da pietre e mattoni a vista che creano sorprendenti effetti visivi. Il periodo a cavallo tra gli anni 20 e gli anni 30 è per Wright uno dei peggiori, caratterizzato da divorzi, mancanza di lavoro, crisi economica e debiti.
Del 1935 è il progetto per la città del futuro, Broadcare City, la città degli ampi spazi, tanto agricola quanto urbana, una città in cui si potranno costruire case semplici, a basso costo e senza inutili orpelli. Forse la più trascurata tra le utopie (rispetto alle più fortunate Ville Radieuse di Le Corbousier, la Cité Industrielle di Garnier ecc), Broadacre è il tentativo ultimo per Wright di dar nuova vita all’American Dream, quel sogno americano fatto di progresso industriale ma compatibile alla vita rurale, in cui è possibile esaltare la libertà individuale e l’evoluzione della personalità.
Nella città del futuro l’automobile, la radio, il telefono e il telegrafo, la produzione in serie saranno messi al servizio della città, consentendo libertà di espansione, movimento ed insieme bruciando il tempo, ma sarà sempre e comunque l’uomo, con il suo potere di libertà e conoscenza, ad esser posto al centro dell’attenzione.
Superati gli anni di totale crisi economica, grazie anche al rilancio della comunità di Telesin come centro di formazione per architetti, si creano le condizioni giuste per il compimento di uno dei massimi capolavori di Wright: la Casa sulla Cascata. Un edificio in cui tutto è chiaro, pulito, in cui i piani si alternano geometricamente a celebrare l’unione tra costruzione artificiale ed ambiente naturale. Nulla è lasciato al caso e nulla potrebbe essere diverso da com’è. La Casa non è infatti “su” un luogo ma è “del” luogo, vi appartiene così come vi appartengono gli alberi o le rocce, è l’espressione massima del nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente.
Negli anni ‘36-‘37 Wright ha modo di mettere a punto e realizzare le “Usonian House”, versione evoluta e più moderna delle Priarie House, in cui gli spazi sono più piccoli, più funzionali, ancora più legati all’ambiente circostante, non hanno tetti a padiglione ma piani.
Grazie alla risonanza del successo della Casa sulla Cascata e degli altri lavori degli anni 30, Wright viene riscoperto e rivalutato, fervono commesse e lavori da ogni parte del mondo, e fino a novantuno anni, Wright lavorerà instancabilmente facendo addirittura fatica a star dietro ad ogni progetto. Tra le opere della maturità la più nota è certamente il Museo Guggenheim di New York. L’obiettivo è quello di poter godere del museo da ogni punto di vista e la soluzione è trovata attraverso due spirali che costituiscono il percorso espositivo discendente: i visitatori giungono in cima all’edificio tramite degli ascensori per poi proseguire passeggiando lungo una rampa. Modificato pesantemente dopo la morte dell’architetto, il quale ne contestava in particolar modo la tinteggiatura in bianco (definito un non-colore), il Guggenheim diviene tuttavia ben presto uno dei simboli di New York, legando per sempre il nome di Wright non solo a quello della città ma alla storia dell’architettura del Novecento.